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Magistretti Stefano

03 Dicembre 2025

Design thinking e innovazione sostenibile: idee, soluzioni e competenze al servizio del futuro

Sostenibilità & Impatto

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Magistretti Stefano

03 Dicembre 2025
Design thinking e innovazione sostenibile: idee, soluzioni e competenze al servizio del futuro

Sostenibilità & Impatto

Nel dibattito contemporaneo sull’innovazione, poche parole chiave sono evocative quanto “design thinking” e “sostenibilità”. Due concetti spesso trattati separatamente, ma che oggi si intrecciano in modo sempre più profondo, dando vita a una nuova visione di impresa e di progresso. La crescente urgenza di affrontare le sfide ambientali e sociali ci impone di ripensare il modo in cui innoviamo: non più con approcci lineari e predittivi, ma attraverso metodi capaci di accogliere la complessità, valorizzare la creatività e generare impatto positivo a lungo termine.

È qui che entra in gioco il design thinking. Nato come metodo per progettare esperienze utente efficaci e prodotti funzionali, oggi questo approccio si è evoluto fino a diventare uno strumento potente per affrontare problemi sistemici. Quando applicato in modo consapevole, il design thinking non è più solo una tecnica, ma un modo di guardare il mondo, di porsi le domande giuste, di ripensare i modelli di business per rispondere a bisogni reali, anziché generarne di fittizi. Diventa così un alleato strategico nell’innovazione sostenibile.

In questo contesto, il ruolo del purpose – inteso come direzione valoriale profonda dell’impresa – e la formazione di manager capaci di coniugare sensibilità ambientale e visione imprenditoriale assumono un’importanza cruciale. Per esplorare a fondo questi temi, abbiamo intervistato Stefano Magistretti, Direttore del Master in Entrepreneurship and Design for Sustainability di POLIMI Graduate School of Management.

 

Secondo il World Economic Forum, la transizione verso modelli di business sostenibili potrebbe generare opportunità per oltre 10 trilioni di dollari l’anno e creare 395 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Come possiamo cogliere al meglio queste opportunità nel campo dell’innovazione sostenibile e del design thinking? Può farci degli esempi?

Torno indietro di circa vent’anni, al TED Talk di Tim Brown – uno dei padri del design thinking – quando affermava che il design non può più limitarsi all’estetica, ma deve occuparsi di problemi complessi e rilevanti. L’opportunità è enorme, ma ciò che conta davvero è capire come possiamo contribuire in modo concreto alla sostenibilità, senza rincorrere cifre, ma costruendo visioni solide e impattanti. Il punto centrale è che il design thinking, se usato in modo consapevole, può aiutarci a intercettare problemi autentici, evitando di progettare soluzioni inutili o ridondanti. È un cambio di prospettiva importante. Se utilizziamo il design thinking solo perché “va di moda”, rischiamo di produrre innovazione di superficie, mentre se lo adottiamo con l’obiettivo di indagare in profondità i bisogni reali – ambientali, sociali, economici – allora può diventare un vero catalizzatore di sostenibilità.

Nel design thinking, il concetto di “framing e reframing” è fondamentale: significa imparare a porsi le domande giuste, a mettere in discussione le premesse, a capire se il problema che vogliamo risolvere è davvero il problema centrale o solo un sintomo. Questo processo critico ci aiuta a evitare derive consumistiche – come l’introduzione di un nuovo prodotto solo perché c’è una richiesta apparente – e ci porta invece a soluzioni essenziali, semplici, e realmente funzionali.

Ci sono esempi di aziende che hanno puntato su un’offerta ridotta, trasparente, semplificata: invece di centinaia di combinazioni di prodotto, hanno scelto pochi modelli standardizzati. Questo non solo ha ridotto la complessità industriale, ma ha anche abbattuto il carico ambientale e migliorato l’esperienza dell’utente. Scegliere di fare meno ma meglio, in un’epoca di iper-personalizzazione, è un atto di coraggio imprenditoriale. È una visione strategica che guarda alla sostenibilità come leva di valore.

 

Quali metodologie e strumenti sono necessari per trasformare queste visioni in progetti concreti e in imprese capaci di coniugare sostenibilità ambientale e redditività? In che modo il design thinking può guidare lo sviluppo di soluzioni innovative che abbiano un impatto positivo sulla società e sul pianeta?

Il primo passo è includere il pianeta come uno degli “human” del sistema. Sembra una provocazione, ma non lo è: il pianeta, come ogni utente, può essere osservato. Non parla, ma comunica attraverso dati, evidenze, impatti. Rappresenta uno “stakeholder” del progetto di design thinking. Se iniziamo a considerare anche le risorse naturali come attori del nostro ecosistema progettuale, introduciamo dei vincoli che – lungi dall’essere ostacoli – diventano catalizzatori di innovazione. Il design thinking può aiutarci a leggere questi vincoli non come limitazioni, ma come stimoli creativi.

Quando progettiamo tenendo conto delle risorse scarse, dei limiti ambientali, della sostenibilità sociale, non possiamo più permetterci soluzioni “standard”. Dobbiamo immaginare nuove configurazioni di valore. Se, ad esempio, una determinata soluzione richiede un alto impiego di terre rare, ma queste sono difficili da reperire o il loro sfruttamento ha un impatto devastante, il design thinking ci invita a cercare alternative sostenibili, a ripensare il modello di business, a innovare anche nelle fondamenta.

Dal punto di vista metodologico, non esiste una ricetta unica. La vera chiave è nella capacità di farsi le domande giuste. In aula lo ripeto spesso: se esistesse un metodo infallibile, saremmo tutti milionari nel settore della sostenibilità. La realtà è che servono consapevolezza, visione e una forte connessione con i valori. Alcune aziende hanno fatto del benessere dei dipendenti o della bellezza degli ambienti di lavoro il proprio purpose, accettando di spendere di più per creare valore reale e duraturo. Questo tipo di coerenza si trasmette nei prodotti, nei servizi, nel modo in cui l’azienda si relaziona al mondo. E nasce da una domanda: “Che impatto voglio avere?”. Il design thinking ti aiuta a trovare risposte.

 

Come si può costruire una mentalità imprenditoriale che veda nella sostenibilità non un limite, ma un’opportunità di valore da cogliere attraverso il giusto approccio al design thinking? Quali strategie formative possono aiutare a sviluppare questo tipo di mindset e purpose nelle nuove generazioni?

La sostenibilità non deve essere vissuta come un problema da risolvere, ma come un terreno fertile per generare opportunità. In aula cerchiamo di cambiare la narrativa, spostando l’attenzione dal rischio alla possibilità. Non si tratta solo di spiegare l’impatto negativo delle risorse esauribili, ma di chiedersi: “Quale nuova soluzione possiamo creare per affrontare questo problema in modo sostenibile?”. È un modo diverso di insegnare, che stimola creatività e responsabilità.

In POLIMI Graduate School of Management, lavoriamo molto sul concetto di purpose e sulla formazione di una mentalità imprenditoriale sostenibile. Organizziamo cicli di incontri con imprenditori e manager che hanno fatto del purpose il cuore della loro azienda. Li chiamiamo “Purpose Pioneers”. Alcuni lavorano sulla bellezza, altri sulla missione sociale, altri ancora sulla trasparenza e l’inclusione. I nostri studenti – junior e senior – ascoltano queste storie, si confrontano, si pongono domande, iniziano a immaginare un loro percorso.

Nel nostro Master in Entrepreneurship and Design for Sustainability, gli studenti partecipano inoltre a sfide globali come ChangeNOW e Climate Fresk. Sono esperienze pratiche che li mettono alla prova su problemi reali, su scala internazionale. Non si tratta solo di apprendere metodologie, ma di allenare il mindset: saper affrontare l’incertezza, ragionare in modo sistemico, lavorare in team multidisciplinari. Tutto questo costruisce consapevolezza e visione.