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Giudici Giancarlo
16 Luglio 2025ESG, purpose e formazione: la sostenibilità come sfida culturale e strategica per le imprese
Sostenibilità & Impatto
Finanza
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Giudici Giancarlo
16 Luglio 2025Sostenibilità & Impatto
Finanza
Negli ultimi anni, la parola "sostenibilità" è diventata centrale nel dibattito pubblico, nelle scelte dei consumatori e, soprattutto, nelle strategie aziendali. Parlare oggi di impresa significa infatti parlare di impatto: sull’ambiente, sulle persone, sulla società nel suo complesso. In questo scenario, i parametri ESG – Environmental, Social e Governance – rappresentano il quadro di riferimento per valutare quanto un’impresa sia realmente sostenibile e responsabile, al di là della sua performance economico-finanziaria.
Ma a che punto siamo davvero in Italia? Le imprese stanno adottando strategie concrete per rispettare questi criteri o si limitano a una comunicazione di facciata? Quanto conta, in questo percorso, avere un purpose aziendale autentico, capace di guidare l’azione e non solo la narrazione? E soprattutto, quale ruolo gioca la formazione nel creare una nuova generazione di leader consapevoli, capaci di conciliare obiettivi economici e impatto sociale-ambientale?
Per rispondere a queste domande, abbiamo intervistato Giancarlo Giudici, Direttore del Professional Certificate ESG Analysis & Investing e del Corso Executive Finanza aziendale: raccolta di capitale e operazioni sul mercato mobiliare di POLIMI Graduate School of Management, e tra i massimi esperti di sostenibilità applicata alla gestione d’impresa. Le sue risposte offrono un quadro ampio, concreto e documentato sul significato profondo dei criteri ESG e sul percorso necessario per integrarli in modo autentico nelle imprese di oggi e di domani.
Partiamo dalle basi: cosa sono esattamente i parametri ESG e cosa prevedono? Quali gli elementi che li compongono e come vengono oggi misurati?
Quando si parla di ESG, ci si riferisce a tre classi di variabili fondamentali per valutare la sostenibilità complessiva di un’organizzazione: le dimensioni ambientale, sociale e di governance. Storicamente, le imprese sono state valutate quasi esclusivamente sulla base di parametri economico-finanziari, come la capacità di generare profitti, di mantenere una buona liquidità, o di assicurare solidità patrimoniale. Oggi, questo approccio risulta evidentemente limitato, poiché trascura fattori cruciali che determinano il valore e la reputazione di un’impresa nel tempo.
Il primo ambito, quello ambientale, è strettamente legato alla sfida del cambiamento climatico. La comunità scientifica internazionale ha evidenziato in modo unanime come il riscaldamento globale stia accelerando, con conseguenze gravissime: eventi meteorologici estremi, riduzione della produttività agricola, rischi per la salute umana, innalzamento del livello dei mari e minaccia all’esistenza stessa di intere nazioni insulari. Alla base di tutto ciò vi è l’emissione di gas serra, come l’anidride carbonica, generata prevalentemente da attività industriali.
Per questo motivo, tra le metriche ambientali più rilevanti dei parametri ESG troviamo la quantità di CO₂ equivalente emessa, il consumo di acqua, la produzione di rifiuti e l’efficienza nell’uso delle risorse. Il riferimento normativo internazionale più importante è l’Accordo di Parigi del 2015, che impone un impegno condiviso nel ridurre le emissioni e contenere l’aumento della temperatura globale.
Ma non si tratta solo di emissioni. Le metriche ambientali includono anche la qualità dell’aria, la tutela dell’acqua e del suolo, la protezione della biodiversità e lo sviluppo dell’economia circolare. Sono aspetti tutti interconnessi, che vanno a definire l’impatto ambientale complessivo dell’attività di un’impresa.
Il secondo ambito dei parametri ESG, quello sociale, riguarda sia la sfera interna all’azienda sia quella esterna. Internamente, si parla di benessere dei lavoratori, sicurezza sul luogo di lavoro, politiche di inclusione, valorizzazione delle diversità e formazione continua. Un’impresa sostenibile è un luogo in cui le persone sono rispettate, tutelate e messe nella condizione di crescere. Ma c’è anche una dimensione esterna: le imprese operano all’interno di comunità locali e possono generare esternalità positive, come sponsorizzazioni, borse di studio, programmi sociali. Allo stesso tempo, però, possono anche creare impatti negativi – ad esempio traffico e inquinamento – che devono essere gestiti con responsabilità.
Infine, la “G” di Governance. Questo aspetto, pur essendo sempre stato al centro dell’attenzione dei mercati finanziari, ha oggi un rilievo ancora maggiore. Una governance solida significa trasparenza, integrità, codici etici, anticorruzione, presenza di organi interni dedicati alla sostenibilità come CSR manager o sustainability officer. In tal senso, parliamo anche di un tema di strutturazione interna dell’impresa: quali incentivi ricevono i manager? Quali sono i criteri di nomina nei consigli di amministrazione? La governance è la dimensione che garantisce che gli impegni assunti sui temi ambientali e sociali siano realmente perseguiti e non rimangano dichiarazioni di principio.
Per misurare tutto questo, esistono strumenti consolidati. Il principale a livello internazionale è il GRI – Global Reporting Initiative, uno standard modulare che copre tutte le aree dell’ESG, dal cambiamento climatico alla gestione dei rifiuti, dalla diversità alla condotta etica. In Europa, lo standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards) è diventato obbligatorio per le società quotate di grandi dimensioni. Oggi, la pubblicazione del bilancio di sostenibilità è diventata una prassi diffusa: le imprese rendicontano metriche quantitative, come le tonnellate di CO₂ o i metri cubi di acqua, e qualitative, come la soddisfazione dei dipendenti o l’integrità dei fornitori. Questo processo ha una doppia valenza: favorisce la trasparenza verso il mercato e stimola l’impresa a migliorarsi continuamente.
Quanto è alta oggi l’attenzione delle imprese italiane verso questi criteri? Quali strategie e azioni stanno adottando per essere davvero in linea con gli ESG e quanto conta, in questo percorso, avere un purpose aziendale chiaro e autentico, slegato da dinamiche di ‘greenwashing’?
L’attenzione delle imprese italiane verso i criteri ESG è cresciuta in modo significativo negli ultimi anni. Un primo impulso è arrivato sicuramente dalla normativa europea, che ha introdotto obblighi precisi per le imprese quotate di grandi dimensioni, imponendo loro di rendicontare pubblicamente i dati ESG. Anche se queste imprese rappresentano una quota limitata del tessuto economico italiano, il loro ruolo di capofila nella filiera produttiva ha generato un effetto a cascata su fornitori, partner e PMI. Le aziende che vogliono restare nel mercato devono oggi fornire informazioni sulla propria impronta ambientale, sul trattamento dei dipendenti, sulla tracciabilità delle materie prime.
Non si tratta però solo di rendicontazione. La normativa ha introdotto anche strumenti più incisivi, come l’obbligo di due diligence sulla sostenibilità di fornitori e clienti, o la tassonomia europea che definisce con precisione cosa può essere considerato un investimento “verde”. Queste misure hanno reso la sostenibilità un criterio operativo, non solo narrativo.
Tuttavia, oggi si sta affermando anche una consapevolezza più profonda. Sempre più imprese italiane riconoscono che la sostenibilità non è solo un obbligo, ma una responsabilità verso le generazioni future. In tal senso, non basta “non inquinare”, ma è fondamentale costruire un modello di sviluppo capace di durare nel tempo, che tenga conto del benessere collettivo. La pressione arriva anche dal basso: i consumatori, soprattutto le nuove generazioni, sono molto attenti a questi temi e premiano le imprese autenticamente impegnate.
In questo scenario, le azioni messe in campo dalle aziende sono numerose. Sul piano ambientale, le imprese stanno investendo nella decarbonizzazione: riduzione dei consumi energetici, transizione verso fonti rinnovabili, mobilità elettrica, efficienza produttiva. Aziende all’avanguardia scelgono fornitori verdi, autoproducono energia da impianti fotovoltaici, puntano su modelli di economia circolare. Sul piano sociale, si lavora per colmare il gender gap e il gender pay gap, promuovere la parità di genere anche in settori storicamente maschili come il manifatturiero, attivare programmi di welfare aziendale e wellbeing per conciliare vita lavorativa e privata. Sul piano della governance, invece, la trasparenza è la parola chiave: codici etici, anticorruzione, sistemi di valutazione indipendenti, accountability a tutti i livelli.
A fare la differenza, però, è il Purpose. Le imprese che adottano queste strategie non per obbligo ma per convinzione sono quelle che avranno successo nel lungo periodo. Il rischio del greenwashing, infatti, è sempre presente: dichiarare impegni ambientali senza coerenza operativa è un errore che può compromettere gravemente la reputazione di un brand. Un Purpose autentico guida le scelte, ispira i comportamenti, e crea coesione interna. È la vera bussola per un’impresa sostenibile.
In che modo formare manager e leader capaci di guidare le imprese verso un impatto positivo su società e ambiente, in linea con i criteri ESG? Qual è l’approccio di POLIMI Graduate School of Management in tal senso?
Formare una nuova classe dirigente consapevole e orientata alla sostenibilità è forse la sfida più urgente. La transizione verso un modello economico responsabile richiede una leadership preparata, capace di affrontare complessità crescenti, normative articolate e aspettative sociali in continua evoluzione.
In POLIMI Graduate School of Management la formazione ESG è un pilastro. L’approccio è duplice: da una parte, esistono corsi specifici, sia a livello di master che executive, dedicati alla finanza sostenibile, alla gestione ESG, alla strategia di impatto. Dall’altra, la sostenibilità è integrata in modo trasversale in tutti i percorsi formativi: finanza, logistica, supply chain, procurement. Ogni area disciplinare viene riletta alla luce dei criteri ESG, perché la sostenibilità non è una funzione aziendale, ma una cultura organizzativa.
Questo approccio trova coerenza anche nella struttura e nei valori della Scuola stessa, che ha scelto di diventare una B Corp, formalizzando il proprio impegno verso l’impatto positivo. La formazione non è vista come semplice trasferimento di competenze, ma come trasformazione della mentalità manageriale. Si tratta di abituare i futuri leader a pensare in termini di lungo periodo, a valutare le conseguenze sociali e ambientali delle decisioni, a dialogare con stakeholder diversi.
In un mondo in cui il successo di un’impresa si misura sempre più anche sulla base del suo contributo al bene comune, formare leader capaci di unire performance e responsabilità è la chiave per costruire un’economia e un futuro migliore.