30 Marzo 2023

Silicon Valley Bank: perché la crisi di oggi non è quella del 2008.

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È notizia di pochi giorni fa il collasso della Silicon Valley Bank e, leggendo la notizia, è impossibile non pensare al 2008 e alla grande crisi finanziaria innescata dal default della banca di investimenti Lehman Brothers. 
E mentre i primi venti di crisi arrivano anche oltreoceano con il crollo in borsa di Credit Suisse e i forti ribassi su tutte le piazze affari europee, abbiamo chiesto al Prof. Marco Giorgino, Direttore dell’International Master in Financial Risk Management, di spiegarci meglio cosa sta succedendo.

Prof. Giorgino, nei titoli di giornale di questi giorni compare spesso lo spettro della grande crisi del 2008. Ci sono analogie tra i due avvenimenti?

Credo che evocare la grande crisi del 2008 pensando ai fatti di queste settimane sia alquanto azzardato e forse anche pericoloso.
Stiamo parlando infatti di una crisi di dimensioni molto diverse: quelle colpite oggi sono poche banche americane non appartenenti alla categoria delle grandi banche. Per quanto contiguo temporalmente, il caso Credit Suisse, va poi considerato separatamente, sia per genesi che gestione.

Ma non solo. Dobbiamo anche considerare che in questi 15 anni, dal 2008 ad oggi, i sistemi bancari – in particolar modo in Europa – si sono rafforzati, preparandosi a gestire situazioni di maggiore difficoltà.

Il confronto tra i due avvenimenti può essere eventualmente fatto – ma con molta cautela – sul regime dei tassi di interesse che ha preceduto queste due fasi della storia dei mercati.

Nel 2008, arrivavamo da un regime di tassi di interesse molto bassi, che ha portato a un incremento significativo dei volumi creditizi e al proliferare di strumenti di cartolarizzazione dei crediti di qualità via via decrescente. Una situazione poi rivelatasi non sostenibile finanziariamente e che ha portato molti investitori a perdite elevate.

Se guardiamo ad oggi, invece, vediamo che prima della crisi di Silicon Valley Bank e di Signature Bank, i tassi sono aumentati in modo così significativo da portare a degli squilibri nelle strutture patrimoniali di attivo e passivo, proprio di queste banche poco avvedute sull’equilibrio e sulla composizione delle rispettive poste del bilancio.

In conclusione, direi che possiamo guardare al 2008 per imparare dagli errori del passato, ma questo non vuol dire che le situazioni possano essere equiparate.

Una delle grandi preoccupazioni, anche a seguito del crollo di Credit Suisse, è il contagio dell’eurozona. Pensa sia uno scenario probabile? Cosa dobbiamo aspettarci in Italia?

Il caso Credit Suisse sposta certamente il focus sugli scenari europei, anche se credo che si debba essere molto cauti nel fare veloci e superficiali generalizzazioni. Quello di Credit Suisse, infatti, è un caso un po’ a se stante, che non può che essere ricondotto a scelte strategiche e gestionali fatte all’interno dell’istituto finanziario.
Se guardiamo oggi all’Europa, troviamo uno scenario più solido rispetto a quello del 2008. In questi 15 anni, infatti, sono state fatte delle scelte regolamentari – anche molto stringenti – che hanno portato gli istituti bancari europei più grandi (ma non solo), a prestare molta attenzione ad aspetti come la patrimonializzazione e l’adeguatezza patrimoniale così come  i requisiti di liquidità.
Tra l’altro, le banche europee sono sottoposte periodicamente a degli esercizi di stress test sugli aspetti patrimoniali e di liquidità, volti a verificarne la tenuta anche in presenza di scenari molto aggressivi sia sul piano economico che finanziario.
E questa attenzione la vediamo nei numeri. L’Europa ha avuto la capacità di fare delle scelte che – a volte anche a scapito della profittabilità – ci hanno permesso di avere, sul piano patrimoniale, delle banche che sembrano essere nelle condizioni di poter gestire anche situazioni turbolente.
L’Italia non è da meno. Il nostro sistema bancario è caratterizzato da banche che hanno lavorato sulla patrimonializzazione e sui profili di liquidità e che hanno ridotto la dipendenza dai titoli obbligazionari e governativi. Quindi anche la percentuale di titoli all’interno dei portafogli delle banche si è ridotta nel tempo, e di conseguenza l’esposizione a rischi dei tassi di interesse e agli effetti che possono avere sul valore del portafoglio. Titoli che spesso sono tenuti per esigenze più di investimento e di sostegno del margine di interesse che di trading, e che quindi sono portati a scadenza. Seguono pertanto delle regole di contabilizzazione che consentono di immunizzare queste poste dell’attivo dei bilanci da quello che è l’andamento dei tassi di interesse. Questo non vuol dire che possiamo essere certamente sereni e tranquilli, ma che le risorse oggi presenti nei sistemi bancari europei e in quello nazionale sono tali da poter gestire situazioni che potrebbero essere caratterizzate nel tempo da una turbolenza via via crescente.

Tra i temi caldi di questi giorni c’è anche il rialzo dei tassi. Pensa che questo avvenimento possa influenzare le politiche monetarie di FED e BCE?

Il rialzo dei tassi è da taluni considerato come la causa di alcune di queste crisi bancarie. E in parte è così, ma certamente non possiamo imputare queste crisi alla politica monetaria. La causa va tuttalpiù ricercata in una non corretta gestione integrata tra attivi e passivi delle banche.
Vorrei che su questo non ci fosse confusione. Ricordiamoci che le banche centrali esercitano la funzione monetaria. BCE, in particolare, ha come principale missione il controllo dell’andamento dei prezzi e dell’inflazione. Non dimentichiamo che la stabilità dei prezzi è una condizione molto importante per la stabilità dei cicli economici e dei mercati finanziari. Dall’altra parte, la BCE esercita anche una funzione di supervisione e vigilanza sulla stabilità del sistema bancario e quindi sulla corretta gestione delle attività bancarie in Europa.

Tornando alla domanda, che le crisi possano influenzare le politiche monetarie di FED e BCE mi sembra un punto importante.
Ad oggi non vediamo come questa influenza si stia esercitando, ma sappiamo che l’obiettivo del controllo dell’andamento dei prezzi rimane prioritario – sicuramente per l’Europa.
Lo abbiamo visto anche nel recente rialzo dei tassi. La BCE ha una traiettoria chiara: arrivare a una definizione dei tassi che possa portare a una stabilizzazione nell’indice di variazione dei prezzi. Un obiettivo importante. Così come quello di avere un’inflazione stabilizzata al 2%, traguardo dal quale siamo un po’ lontani al momento.
Personalmente non mi aspetto un cambio di traiettoria, quanto piuttosto una valutazione sulla velocità di avanzamento nella direzione individuata. Non mettiamo in discussione il percorso, ma probabilmente possiamo porci un approccio più graduale e tattico per evitare che ci siano scossoni eccessivi che possano creare situazioni di instabilità.

Un articolo del Sole 24 Ore evidenzia come l’onda del crack di SVB rischi di toccare anche la Cina, dove il nono istituto di credito del paese – la Shanghai Pudong Development Bank – aveva siglato una joint venture al 50% con la banca fallita. In pochi giorni una crisi partita dagli Stati Uniti, è arrivata in Svizzera, e addirittura in Cina. Sembra quasi che il mondo della finanza sia organizzato per grandi vasi comunicanti. Come mai?

Ormai è un fenomeno che vediamo da decenni. La finanza internazionale è globale, e quindi c’è una fortissima interrelazione tra quello che accade in alcune aree del mondo e quelli che sono gli effetti che questi accadimenti possono avere in altre macroaree. Dobbiamo convivere con queste situazioni: i capitali hanno una fortissima mobilità. Gli investitori sono investitori globali; quindi in ottica di risk management dobbiamo considerare come ogni rischio può avere una natura e delle fonti anche molto lontane rispetto al contesto in cui stiamo operando fisicamente. Questo pone un’attenzione molto forte sul sistema delle regole. È chiaro che questo sistema di forte interrelazione e quindi di finanza globale meriterebbe una minore presenza di asimmetrie regolamentari tra le diverse parti del mondo. Peraltro, le banche americane saltate, pur essendo considerate negli USA medio-piccole, sono in realtà banche di dimensioni ben superiori a quelle delle medio-grandi banche italiane. La differenza è che le regole che guidano le medio-grandi banche italiane sono molto più stringenti, rispetto a quelle di Silicon Valley Bank e Signature Bank. In questo senso quindi se si vuole operare in un sistema finanziario globale, bisogna far sì che le autorità istituzionali e regolamentari a livello mondiale abbiano la forza e la capacità di coordinarsi meglio per avere meno asimmetrie regolamentari e quindi regole del gioco che siano uguali per tutti, un playing field il più possibile comune a tutti

Grazie Prof. Giorgino per averci aiutati a capire meglio cosa sta succedendo nei mercati finanziari di tutto il mondo.

30 Marzo 2023

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